“Servizio cittadino”: fumo negli occhi militarista!


di Zeno Casella

Da tempo circola in Svizzera il progetto di un’iniziativa popolare “per un servizio cittadino”, con cui i suoi promotori intendono affrontare la crisi del sistema di milizia generalizzando l’obbligo di leva. Una proposta di modifica costituzionale che viene presentata con toni ed argomenti seducenti, quali la parità fra i sessi, la coesione nazionale e la promozione dell’impegno civile, che nasconde però numerose insidie. In vista del lancio dell’iniziativa, previsto nel corso di quest’anno, è perciò utile dedicarle qualche riflessione preliminare: il movimento pacifista non può infatti farsi trovare impreparato di fronte a fumosi e problematici progetti come quello in oggetto.

Cosa chiede l’iniziativa?
Il testo dell’iniziativa, consultabile sul sito servicecitoyen.ch, prevede di modificare la Costituzione federale introducendo il principio del “servizio cittadino”, in base al quale “ogni cittadina/o svolge un servizio cittadino a beneficio della collettività e dell’ambiente”. Nel capoverso seguente, si precisa che “il servizio cittadino viene svolto sottoforma di servizio militare o di qualunque altro servizio riconosciuto dalla legge” (come il servizio o la protezione civili). La priorità del “servizio cittadino” viene dunque rivolta alle necessità dell’esercito, come illustra il capoverso successivo: gli iniziativisti si affrettano a specificare che “il servizio cittadino deve essere organizzato in modo che gli effettivi regolamentari dell’esercito siano garantiti”. In sintesi, l’iniziativa prevede dunque l’estensione dell’obbligo di leva a tutta la popolazione elvetica, donne e stranieri (!) compresi, garantendo in tal modo gli effettivi dell’esercito (ancora notevolmente sovradimensionato nonostante le riforme degli ultimi anni).

Chi sostiene il “servizio cittadino”?
L’iniziativa viene promossa da un gruppo di cittadine/i provenienti da tutto il Paese ed appartenenti (purtroppo) a tutto lo spettro politico, dall’UDC fino ai Verdi. Nel comitato d’iniziativa spicca però l’ampia rappresentazione di ufficiali dell’esercito e di politici borghesi, a cui si sono (più o meno sorprendentemente…) aggiunti alcuni rappresentanti dell’area rosso-verde. Tra i suoi sostenitori troviamo peraltro organizzazioni alquanto schierate come il think-tank neo-liberale Avenir Suisse e lo stesso ex-capo dell’esercito svizzero Philippe Rebord, che in dicembre ha dichiarato alla RTS che firmerebbe l’iniziativa poiché “per l’esercito, ci sarebbero dei vantaggi: si passerebbe da 35’000 a 70’000 potenziali coscritti. L’esercito avrebbe dunque più scelta”.

Un progetto militarista, non pacifista!
La dichiarazione di Rebord la dice lunga sul reale obiettivo di questa iniziativa, che mira innanzitutto a rafforzare l’esercito e a garantirgli un bacino sufficientemente ampio di coscritti. Inutile dire che, per chi si batte per il disarmo e la fine della coscrizione obbligatoria, questo consolidamento delle strutture militari elvetiche è semplicemente inaccettabile. L’ex segretario del Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSOA) Lewin Lempert ha infatti recentemente dichiarato che, in caso di approvazione dell’iniziativa, “il margine di manovra per una riforma significativa dell’esercito sarebbe più ristretto e l’esercito diverrebbe invece più forte”.

Il servizio cittadino rischia di alimentare il dumping salariale
Ma l’iniziativa è pericolosa anche per altre ragioni: coloro che sarebbero annualmente chiamati a prestare questo “servizio cittadino” e non venissero reclutati nell’esercito, verrebbero impiegati in ambiti di pubblica utilità andando a creare ulteriori pressioni nel mercato del lavoro. La carenza di personale in settori come quello sociosanitario o educativo verrebbe compensato da migliaia di giovani mal pagati e poco formati, giustificando così un minore investimento pubblico in queste strutture ed alimentando il dumping salariale a danno dei professionisti. Non stupisce da questo punto di vista che fari del neoliberismo elvetico come AvenirSuisse sostengano l’iniziativa.
Il “servizio cittadino” potrebbe peraltro essere addirittura in contrasto con il diritto internazionale, più in particolare con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e i patti dell’ONU, che vietano il lavoro forzato o obbligatorio. A questo proposito, anche il professore emerito di diritto internazionale Rainer J. Schweizer ha dichiarato: “non sono sicuro che sia giudizioso voler colmare le lacune nei settori dove c’è penuria di manodopera attraverso un servizio cittadino”.

Ribadiamo il nostro NO alla coscrizione obbligatoria!
In conclusione, mi pare si possa affermare con certezza che l’iniziativa “per un servizio cittadino” non possa e non debba trovare spazio né sostegno in seno al movimento pacifista. Non dobbiamo farci “abbindolare” dai seducenti appelli all’inclusione, alla solidarietà ed all’ecologia lanciati dai promotori dell’iniziativa: continuiamo invece a batterci contro il militarismo, contro la coscrizione obbligatoria e contro ogni forma di lavoro forzato che non hanno nulla di patriottico, poiché alimentano disuguaglianze e tensioni sociali che vanno combattute con la stessa determinazione!